Se tornassimo alla Lira cosa ci aspetterebbe?
In questi giorni si sta facendo largo l’idea di una possibile uscita dell’Italia dalla zona euro. Tra economisti e uomini politici ci sono diverse opinioni. C’è chi dice che tornare alla lira in questo momento sarebbe dannoso per il nostro Paese, e c’è chi pensa, al contrario, che l’uscita dell’Italia dalla zona euro è l’unica via d’uscita per far fronte alla grave crisi economica in cui si trova il Paese.
L’euro, fin dai primi anni, ha dato prova della sua instabilità. Ricordo la titubanza con la quale accettammo l’entrata in vigore di questa moneta. Ricordo la fatica che fecero gli anziani ad imparare a capire il passaggio dalla lira all’euro. Ma come al solito non c’era spazio per le nostre lamentale, e anche se ci fosse stato non sarebbe servito a nulla... avremmo dovuto accettare comunque il cambio di valuta perché messi di fronte al fatto compiuto.
E come volevasi dimostrare, il dubbio sulla sua effettiva sfortuna si sta rivelando oggi in tutte le sue forme. Il fatto che il potere d’acquisto è diminuito di molte migliaia di euro ne è la prova inconfutabile. Infatti, stando al rapporto dell’Istituto Ricerche Economiche e Sociali, in 10 anni, ogni lavoratore ha perso circa 5.500 euro di potere d’acquisto del proprio stipendio.
Dati inquietanti, che ci lasciano col fiato sospeso se pensiamo in maniera pratica che fino al 2000 con 100 mila lire in tasca si comprava il doppio di quello che oggi si può comprare con 100 euro.
Non dimentichiamo, poi, il divario che esiste tra il valore intrinseco di una moneta e il suo valore nominale.
Il valore intrinseco, cioè il valore dello strumento usato come moneta, dipende dal valore del bene che compone la moneta (costo di produzione, costo della stampa etc..). Mentre, il valore nominale è quello che viene riportato sulla moneta, è il prezzo che viene imposto sul mercato indipendentemente dal suo costo di produzione. Il valore intrinseco di una moneta è sempre molto inferiore rispetto a quello nominale.
Nel caso, invece, delle monete coniate con i metalli preziosi, come nel caso dell’oro, tra il valore nominale e quello intrinseco non vi è questa grande differenza perché il metallo conserva il proprio valore nel tempo. Una moneta d’oro è, quindi, più stabile e non soggetta all’inflazione.
Ciò si spiega col fatto che alla crescita della moneta equivale, analogamente, una crescita della ricchezza reale, pari o quasi alla quantità di metallo prezioso messo in circolazione con la valuta stessa, per cui l’emissione di moneta con valore intrinseco non subisce l’inflazione, ma è un sicuro riparo da essa. Mentre, monete come l’euro o il dollaro, come tutte le monete moderne, sono fortemente esposte ai rischi inflattivi.
Fino all’800, le monete che circolavano erano coniate solo ed esclusivamente con l’impiego di metalli preziosi. Ma, a partire dal 1971, quando anche il Bretton Woods non riusciva più a reggere il passo del mercato e gli interessi economici si facevano sempre più consistenti, non si stampò più moneta in base alle riserve aurifere della banca, ma la moneta stessa diventò “il valore”.
In parole povere, ciò significa che noi acquistiamo dei beni materiali in cambio di una moneta che non ha valore effettivo.
Questo valore è stato stabilito dalla banca centrale e accettato nel mercato, ma nella pratica, il suo valore è di molto inferiore al valore nominale. Le banche possono, perciò, stampare moneta nella quantità desiderata, e non più in base alla quantità di oro presente nelle loro casseforti.
Se ci pensiamo bene, tutto questo significa che la moneta attuale ha valore dal momento in cui viene accettata come mezzo di pagamento sulla base della fiducia di chi la riceve come pagamento.
“La crisi della zona euro sembra aver raggiunto il suo culmine, con la Grecia sull’orlo del default e un’uscita ingloriosa dalla zona monetaria, e ora l’Italia sul punto di perdere l’accesso ai mercati finanziari”.
Sono queste le sconcertanti parole che si leggono nell’articolo di Nouriel Roubini, economista, presidente della Roubini Global Economics e professore di economia alla Stern School Business di New York, pubblicato l’11 novembre 2011 su Project Syndicate.
Nouriel Roubini, 52 anni, diventò famoso dopo aver previsto il crollo dei mercati immobiliari negli Stati Uniti, circa 5 anni fa, che ha conseguentemente dato inizio alla crisi internazionale ad effetto catena.
“Se l’Euro poteva sopravvivere senza la Grecia, stessa cosa non si può dire per l’Italia” afferma il direttore del centro per gli studi di politica europea, Daniel Gros “se c’è un default dell’Italia si rischia che anche altri paesi come Spagna, Portogallo e Francia si trovino in grosse difficoltà”. Roubini è ancora più preciso, e pensa che insieme all’Italia potrebbero affondare addirittura altre due economie insieme a quelle menzionate: quella di Cipro e dell’Irlanda.
Sempre secondo l’attenta analisi del professor Roubini, in Spagna e Irlanda, il risparmio privato è crollato, e una bolla immobiliare ha alimentato il consumo eccessivo. Mentre Grecia, Portogallo, Cipro e Italia, sono andati nel pallone quando l’eccessivo deficit di bilancio ha inasprito i già tanti squilibri esterni.
Ciò che principalmente ha scatenato la crisi dell’Euro è stato il fatto che da quando questa valuta è entrata in circolazione, da circa 10 anni, si è verificato un forte squilibrio tra paesi periferici come l’Italia, l’Irlanda, la Grecia e ancora il Portogallo e la Spagna che hanno avuto più uscite che entrate, cioè hanno speso più dei fondi che detenevano.
Al contrario, i paesi centrali dell’eurozona come Francia, Germania, Olanda e Austria, sono stati più prudenti e intelligenti, spendendo meno di quello che effettivamente avrebbero potuto spendere, ed esportando più di quanto importassero. Sono stati, insomma, dei bravi risparmiatori!
Secondo il ragionamento del professor Nouriel, se i paesi periferici restano intrappolati in una situazione di deflazione di debito elevato ci sarà un default e saranno costretti a optare per l’uscita dalla zona euro. Questo consentirebbe all’Italia e alle altre nazioni di rilanciare l’economia e la competitività sui mercati internazionali attraverso un deprezzamento di nuove monete nazionali.
Diverso è il punto di vista della Cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha dichiarato a Lipsia, durante il congresso della Cdu, che abbiamo ancora bisogno dell’Unione Europea perché sarebbe la rovina dei paesi che ne fanno parte:
“In Germania il 60% delle esportazioni finisce nell’UE da cui dipendono nove milioni di posti di lavoro tedeschi. Se l’Europa crolla, anche la Germania crolla”.
Il crollo dei mercati immobiliari negli Stati Uniti, circa 5 anni fa, ha dato inizio alla crisi internazionale ad effetto catena.
Alcuni pensano, e scrivono, che per risolvere i problemi dell’italia sarebbe meglio tornare alla lira, in realtà sarebbe un disastro.
Con tre scenari possibili, cercheremo di capire perché un ritorno della vecchia moneta sarebbe un cataclisma per l’Italia, e per farlo partiamo da un caffé.
Scenario numero 1.
La Grecia abbandona l’Euro. Il terremoto finanziario investe Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia. Tornano le monete nazionali, il giorno dopo al bar, il caffé costa 1.750 lire, con un lieve arrotondamento a favore del barista.
Scenario numero 2.
Dopo pochi mesi il caffé costa 3.000 lire. Com’è possibile? La Lira, non appena ritorna in circolazione, si svaluta di un 40%. I turisti stranieri, soprattutto tedeschi, americani, russi e canadesi, invadono le nostre città, spiagge e alberghi per i prezzi bassi. Ma il PIL crolla e la benzina (il petrolio si compra in dollari) va alle stelle per un cambio decisamente a nostro svantaggio.
I minori costi sulla manodopera, visti i salari degli italiani sempre più bassi, riducono i costi di produzione appesantiti dai costi delle materie prime, comprate sui mercati internazionali, che sono sempre più care rispetto al cambio in lira, vanificando gli effetti positivi della svalutazione della lira. Inoltre, essendosi rotta l’unione europea, sparisce la libera circolazione delle merci. Francia e Germania reintroducono tasse sull’ingresso di prodotti italiani, spagnoli o greci, nel frattempo la maggior parte delle banche sono fallite, perché ad un annuncio della svalutazione della lira, molti risparmiatori hanno ritirato i propri risparmi in euro, velocizzando il crollo del sistema. Considerando tutti questi fattori il PIL crollerebbe tra il 30 e il 50% e il debito pubblico non sarebbe più sostenibile, diventando carta straccia. Per vent’anni nessun italiano o impresa italiana riceverebbe più un solo euro o lira in prestito.
Scenario numero 3.
La Grecia esce dall’euro, ma per Italia e Spagna viene previsto un euro di classe “B”, chiamandola per comodità euro-lira, con un cambio inizialmente fissato sull’1 a 1. Lo stesso giorno viene approvato un decreto che stabilisce un limite di 100 euro alla settimana ai prelievi bancari, per evitare il fallimento delle banche. Per non dover spendere troppi soldi nell’emissione della nuova moneta vengono timbrate le banconote in circolazione in Italia con l’indicazione “eurolira” in pochi giorni la nuova moneta si deprezza del 40%, ma almeno continua la libera circolazione delle merci e dei lavoratori all’interno dell’Unione.
In un anno il 30% degli italiani emigra nei paesi che mantengono l’Euro classe “A”, soprattutto verso Olanda, Germania e Francia. L’emigrazione italiana e spagnola diventa un problema serio occupazionale che investe tutta l’Europa. Intanto un caffè costa 2 eurolire.