Royalties in Compulsory Licensing of Pharmaceutical Patents in Europe

Royalties in Compulsory Licensing of Pharmaceutical Patents in Europe

Royalties e licenze obbligatorie: la nuova frontiera dell’equilibrio tra salute pubblica e innovazione farmaceutica in Europa


Nel cuore del dibattito tra tutela dell’innovazione e diritto alla salute, il tema delle royalties nelle licenze obbligatorie dei brevetti farmaceutici emerge come uno dei nodi più delicati e strategici del diritto industriale europeo. In un’epoca segnata da pandemie globali, crisi sanitarie ricorrenti e diseguaglianze nell’accesso ai farmaci salvavita, la licenza obbligatoria non è più solo una clausola tecnica del diritto dei brevetti, ma uno strumento concreto di politica sanitaria. L’Europa, forte della propria tradizione giuridica e del suo impegno verso l’universalismo sanitario, è chiamata a reinterpretare il concetto di equità economica e giuridica nei confronti dell’interesse collettivo.

La licenza obbligatoria consente, in casi eccezionali, di utilizzare un’invenzione brevettata senza il consenso del titolare, previo pagamento di una royalty equa. Ma proprio qui si apre la questione cruciale: quanto vale la salute pubblica? E, allo stesso tempo, quanto deve essere compensato il genio inventivo che ha portato a un farmaco rivoluzionario? Determinare il giusto compenso significa muoversi in equilibrio tra l’interesse pubblico e la sostenibilità dell’innovazione. Troppo poco, e si scoraggia la ricerca. Troppo, e si nega l’accesso a cure fondamentali.

Il contesto europeo è frammentato ma vivace. Direttive dell’Unione Europea, normative TRIPS e leggi nazionali convivono in un quadro giuridico complesso, che cerca di armonizzare esigenze etiche, economiche e sanitarie. Accanto a regolamenti come il Reg. (CE) n. 816/2006, che disciplina la produzione per l’esportazione verso paesi con problemi sanitari, ogni Stato membro ha sviluppato approcci differenti, con prassi divergenti sulla quantificazione delle royalties. Alcuni si affidano a criteri statuiti per legge, altri preferiscono affidare la determinazione a negoziazioni, arbitrati o decisioni giudiziarie.

Non mancano i casi emblematici: dall’Italia al Regno Unito, dalla Germania alla Francia, le licenze obbligatorie per farmaci oncologici o antivirali hanno mostrato tutta la complessità del bilanciamento tra profitto e bene comune. E in ogni decisione, il nodo centrale resta la determinazione del compenso: un dato economico che riflette, però, scelte politiche e morali.

Sul piano economico, le licenze obbligatorie agiscono come correttivo del mercato, garantendo accessibilità a farmaci essenziali in condizioni straordinarie, senza azzerare gli incentivi all’innovazione. Non si tratta di esproprio, ma di riequilibrio negoziato. Il modello di royalty emerging deve tener conto dei costi di ricerca e sviluppo, della vita utile del brevetto, del margine di guadagno già realizzato, ma anche della natura del bisogno pubblico. La letteratura internazionale offre modelli – come il royalty stacking, l’analisi comparativa e il metodo del “reasonable compensation” – ma manca ancora una linea guida europea uniforme.

 

E poi c’è l’aspetto più profondo, quello etico. In gioco non c’è solo il valore monetario di una molecola, ma la dignità del diritto alla cura, il principio secondo cui l’accesso ai farmaci non può essere una lotteria geografica o reddituale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Dichiarazione di Doha, i codici etici internazionali insistono su una linea chiara: la salute è un diritto umano fondamentale. La licenza obbligatoria, con una royalty equa, è lo strumento di compromesso che può far convivere questo diritto con la legittima tutela della proprietà intellettuale.

Nel futuro, con l’avanzare della medicina personalizzata, delle biotecnologie e dei vaccini ad RNA, il ricorso alle licenze obbligatorie potrebbe divenire più frequente e strategico. L’Europa deve allora dotarsi di strumenti chiari, solidi e condivisi, per affrontare le sfide del nuovo millennio con giustizia, competenza e visione. Non per negare valore all’innovazione, ma per riconoscere che il valore più alto resta la vita umana.

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